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venerdì 10 febbraio 2012

Il Sesto PIL. E la peggiore politica economica




Nella maggior parte dei paesi il PIL reale è sovrastimato, per dare l’impressione che l’economia stia andando bene.

Per questo, si ricorre a vari trucchi, in molti paesi, che sottostimano l’aumento dei prezzi. Per esempio, si altera il paniere dei prodotti che compongono gli indici d’inflazione e il rispettivo peso.

In Brasile, oltre a ciò, succede che i tassi di crescita del PIL hanno avuto degli sbalzi, dalla fine degli anni 60, in funzione delle modificazioni nei criteri di calcolo, il che trasmette l’impressione ingannatrice di un rapido progresso a partire da quel periodo.

Ci sono poi state delle distorsioni tra le monete nazionali. Per esempio, nel 1995 il Cruzeiro ha lasciato il posto al Real, la moneta attualmente in vigore. E le oscillazioni del tasso di cambio incidono molto sui dati comparativi. Il cambio del real è sopravvalutato. In media, il suo tasso è stato, nel 2010, 1 Dollaro US = 1,70 Reais, ma il cambio vantaggioso per migliorare la posizione competitiva dei beni industriali prodotti in Brasile dovrebbe essere 1 Dollaro US = 2,50 Reais. Se il real fosse portato a questo cambio, il PIL brasiliano non arriverebbe neanche al decimo posto.

La cosa più importante, però, è che il PIL registra la produzione nazionale, senza considerare, da un lato, quanta di questa produzione appartiene ai residenti e alle imprese locali, e, dall’altro lato, quanto appartiene ai residenti all’estero e alle imprese straniere. Perciò, da moltissimo tempo, il PIL è divenuto quasi irrilevante, dal momento che la produzione ha subito una globalizzazione, soprattutto in Brasile, dove ciò è patologico.

Il Prodotto Nazionale Lordo (PNL) darebbe un’idea meno distorta delle cose, perché nel calcolarlo si sottrae dal PIL la ricchezza prodotta dai residenti all’estero e dalle aziende straniere che producono nel Paese, e si aggiunge la ricchezza prodotta dai residenti in Brasile e dalle aziende brasiliane all’estero. Il Brasile ha sempre sottostimato il PNL, dal momento che gran parte delle imprese controllate dall’estero, figura nella statistiche con partecipazione di capitali stranieri inferiore al reale, essendo registrate a nome di società di comodo.

La rilevazione ufficiale del PNL  è ancora molto  più distante dalla realtà, essendo stata  soppressa in modo delinquenziale la distinzione tra imprese a capitale nazionale e a capitale straniero, con la "riforma" del capitolo economico della Costituzione del 1988, ordinata dall’oligarchia  straniera a Fernando Henrique Cardoso e agli altri tirapiedi.
Adesso,  il Brasile è uno dei paesi in cui è più alta e, nella realtà, predominante la parte del reddito prodotta nel Paese sotto il capitale straniero, grande parte del quale è ogni anno trasferito all’estero, non solo come profitti e dividendi ufficiali, ma anche in altri conti della bilancia dei pagamenti, attraverso  beni e servizi superfatturati nell’importazione e sottofatturati nell’esportazione.
L’economia brasiliana era già grandemente controllata da imprese multinazionali all’inizio degli anni 70. Dopo, il Paese ha subito una devastazione che dura dalla crisi dei conti con l’estero alla fine degli anni 70. Nel corso degli anni 80, l’aumento assurdo dei tassi di interesse del debito estero con  la frode della Costituzione del 1988, che obbligò a privilegiare il "servizio del debito estero".
Ciò, da allora, ci è costato circa 10 trilioni di Reais al prezzo attuale. Negli anni 90, si ebbe la valanga delle privatizzazioni, che hanno accelerato la denazionalizzazione. Da quel momento in poi, (si ebbero) forti afflussi di redditi da investimenti diretti esteri. Ritengo, pertanto, che il PNL non equivale neppure al 60% del PIL. Siccome anche questo è molto sopravvalutato, il reddito delle persone fisiche e giuridiche brasiliane non arriva al 40% di quanto suggerito dalle cifre del PIL.
Quando si celebra che il PIL del Brasile ha superato quello della Gran Bretagna, l’inganno è ancora maggiore della punta dell’iceberg smascherata, dal momento che questo paese, sede  dell’oligarchia finanziaria, da più di trecento anni, rappresenta l’estremo opposto del Brasile.
Di fatto, il Regno Unito è l’unico paese la cui produzione fuori delle sue frontiere supera quella realizzata all’interno. La produzione interna continua a stagnare, ma l’oligarchia britannica nuota nei profitti, tra gli altri, quelli di manipolare i mercati finanziari mondiali, oltre a contare su preziosi attivi in tutto il mondo, incluso  miniere d’oro e di altri minerali preziosi in Brasile.
In ultima analisi, i media locali e stranieri prendono in giro il Brasile quando esaltano la crescita del PIL brasiliano, come se volessero fare ridere il nostro popolo della propria miseria, senza sapere nulla.
Né parliamo del potere bellico e politico del Regno Unito. Ricordiamo appena che la sua oligarchia, sostenuta da altre della NATO, ha esercitato pressione, praticamente senza resistenza, sopra i  "governi" brasiliani, per separare, di fatto, dal territorio nazionale immense e ricchissime aree dell’Amazzonia, con il pretesto di "proteggere" gli indigeni (addirittura trasferiti apposta la) e l’ambiente.

Denazionalizzazione e deindustrializzazione

In Brasile la produzione ancora cresce, ma al servizio quasi esclusivo delle banche, molte straniere, incluse le britanniche HSBC e Santander (che si fa passare per spagnola),  e delle imprese multinazionali, che controllano sempre più attivi nel paese e trasferiscono i profitti all’estero, specialmente nei paradisi fiscali, quasi tutti in  ex-colonie  britanniche.
Invece di illudersi con statistiche congiunturali, il Brasile dovrebbe concentrasi sulle gravi distorsioni della struttura accumulate dal 1954, che rappresentano un serio rischio. Esse si manifestano nella deindustrializzazione derivante dalla denazionalizzazione dell’economia.
Che altro potrebbe essere successo se, da quell’epoca, le politiche pubbliche sussidiano, incessantemente e sempre di più, le multinazionali con sede all’estero? Occasionalmente,  le imprese nazionali sono state aiutate, ma, in generale, la maggior parte è stata massacrata, mentre le multinazionali hanno sempre goduto dei favori della politica economica.
Il Brasile ha attualmente uno dei più alti deficit della bilancia dei pagamenti con l’estero. Inoltre, le riserve valutarie non sono nostre, ma sono della Cina, della Germania e di altri che hanno competitività tecnologica e le cui riserve risultano dai saldi positivi in quelle transazioni.  Le riserve del Brasile sono costituite, in gran parte, da Dollari convertiti in Reais per applicazioni in titoli finanziari, ed esse possono lasciare la Banca Centrale  ai primi segnali di una crisi estera.
Secondo dati della Banca Mondiale, la partecipazione nel totale mondiale del valore aggiunto
dall’industria in Brasile rimane, dal 2000, ferma all’1,7%. Nel frattempo, lo stesso indicatore in Cina è cresciuto dal 6,7% nel 2000 al 9,8% nel 2005 e al 14,5% nel 2009.
Secondo la stessa fonte, le  importazioni brasiliane di beni di alta tecnologia non arrivano a Dollari US 40 miliardi, e le esportazioni non arrivano neanche a Dollari US 10 miliardi. Nel caso della Cina, le importazioni e le esportazioni equivalevano, ciascuna, a Dollari US 50 miliardi nel 1996, e hanno raggiunto, nel 2008, Dollari US 325 miliardi e Dollari US 450 miliardi, rispettivamente.
Il modello economico dipendente, basato sulla tecnologia straniera non assorbita nel paese e in finanziamenti gestiti dalla Banca Mondiale, a costi materiali e finanziari elevati, oltre a privilegiare i grandi produttori mondiali di attrezzature, ha impedito lo sviluppo di imprese medie e piccole a capitale nazionale nei programmi di investimenti pubblici, come quello elettico e quello siderurgico.
Le privatizzazioni hanno aggravato il quadro, poiché hanno chiuso lo spazio alle imprese provate locali tecnologicamente promettenti che, prima, fornivano, attrezzature e componenti a quelle statali.
Anche nel settore della Petrobrás - strettamente privatizzata con la vendita di azioni a gruppi stranieri e con i vari attentati contro di lei derivanti dalla legge 9.478 -  sono state invertite le politiche a sostegno delle imprese brasiliane. Secondo quanto osservato dall’Ingegnere Fernando Siqueira, della AEPET, la Petrobrás, negli anni 70, sotto Geisel,  aveva creato, attraverso il trasferimento di tecnologia, un indotto di cinquemila imprese, che competevano con le grandi multinazionali del settore.
Egli afferma: "Collor, nel solco del Washington Consensus, ridusse di più del 30% le tariffe sull’importazione, e  Fernando Henrique Cardoso completò l’opera creando il REPETRO, con il decreto 3161, che ha esentato le imprese straniere da tutte le imposte. In questo modo, liquidò quelle 5.000 imprese."
Non c’è spazio qui per riassumere gli svariati e immensi sussidi con cui la politica economica omaggia le multinazionali che assemblano gli autoveicoli e le altre multinazionali in tutti i settori dell’economia, mentre alle regalie federali si aggiungono quelle statali e quelle municipali. Poco tempo fa, si è saputo che il prefetto di Rio donerà alla General Electric degli USA un terreno di 45.000 metri quadri, sull’isola di Fundão.
I finanziamenti del BNDES (Banca Nazionale dello Sviluppo) costituiscono un sussidio enorme alle grandi  multinazionali che, sempre di più, controllano il mercato brasiliano e ricevono dalla banca statale trilioni di reais a tassi di favore. La tedesca Thyssen, leader dei monopoli  mondiali, ha formato una joint venture per produrre energia elettrica inquinante a base di carbone, in "associazione" con la Eike Batista, con il 75% dei fondi erogati dal BNDES.
Oltre a sussidiare le multinazionali, il governo sta privatizzando gli aeroporti e "lavora" per accentuare la dipendenza tecnologica del paese, riducendo al 2% l’imposta sull’importazione su una vasta gamma di beni capitali. La fabbricazione nazionali di quei beni arrivava, negli anni 70, a coprire il 60% della domanda  interna, proporzione che è caduta a meno del 40%, senza parlare della caduta sostanziale della partecipazione delle imprese a capitale nazionale.
Il Brasile  esporta sempre più risorse naturali con poco o nessun procedimento industriale, anche nel settore agroindustriale. Dei minerali strategici, come il quarzo e il niobio, la cui materia prima è concentrata quasi tutta in Brasile, si esportano quantità a prezzi sottofatturati e che non rappresentano neanche 1/50 del valore unitario (sul peso) dei beni finali in cui vengono utilizzati.
Le esportazioni dipendono sempre più dalle commodities. Queste  hanno raggiunto, nel 2010, il  70% della partecipazione nel totale, oltre ad essere rappresentate da una componente crescente di prodotti basici, inclusi nei cinque maggiori gruppi: ferro; petrolio; soia; zucchero; caffè. Del resto, rimane in vigore la spaventosa legge Kandir/Collor, che esenta dall’ICMS (l’imposta sulle operazioni relative alla circolazione delle merci)  l’esportazione delle materie prime.

Adriano Benayon è laureato in Economia e autore del libro Globalização versus Desenvolvimento (Globalizzazione contro Sviluppo)